UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA

LA RESISTENZA NEI PRIMI CASI CLINICI DI FREUD

Laureando: VITO COPPA

       Relatore                                        Correlatrice
Chiarissimo Prof. P. PERROTTI                Dott.ssa A. DE CORO

ANNO ACCADEMICO 1980 – 81

 

… chiunque si sia recato dal dentista
in preda a un insopportabile mal di denti
sa di avergli trattenuto il braccio
quando vedeva avvicinare la tenaglia
al dente malato.
[SIGMUND FREUD]

 

I N D I C E

Introduzione

LA RESISTENZA NEI PRIMI CASI CLINICI DI FREUD:

1. Signora Emmy von N.

2. Miss Lucy R.

3. Signora “agorafobica” – Katharina – Signora “della scena primaria”

4. Signorina Elisabeth von R.

Epilogo

Bibliografia


INTRODUZIONE


INTRODUZIONE 
   

    Nel 1895, Sigmund Freud (1856-1939), neuropatologo viennese, pubblica, in collaborazione col noto medico Josef Breuer (1842-1925) gli “Studi sull’isteria”. In questa raccolta di casi clinici, essi cercano di trarre dagli strati più profondi della psiche delle loro pazienti la spiegazione dell’eziologia e dei meccanismi dei sintomi isterici.

    Prima che ricercatori, essi sono medici che cercano di curare. Prima che soggetti di una ricerca scientifica, le pazienti, che potrebbero essere anche pazienti, intelligenti e ben educate, sono delle povere sofferenti, bisognose di cure, spesso assolutamente incapaci di condurre una vita normale a causa di svariati, complicati ed enigmatici disturbi fisici e psichici che la medicina dell’epoca non sa curare.

    Breuer, con sua plurisintomatica paziente trova utile usare l’ipnosi, così che in tale stato ella possa ripercorrere, in uno sfogo a parole, una catena di ricordi fino al trauma psichico, causa del sintomo e in questo modo provocare l’abreazione, cioè la scarica degli affetti e delle emozioni patogene connesse, con la conseguente scomparsa del disturbo corrispondente (è il suo metodo catartico).

    La tecnica che Freud impiega con le sue clienti, invece, s’evolve nel tempo. Agli inizi si serve del metodo di Breuer, poi, chiede solo “concentrazione”: fa distendere la paziente e le fa chiudere gli occhi: te mette la mano sulla fronte, chiedendo di cogliere e riportare a parole tutto ciò che le è venuto in mente alla cessione della pressione (è il suo metodo “della pressione”).

    Anche con questo espediente, le pazienti continuano a esercitare critiche, a scacciare il ricordo emerso o l’idea che si è affacciata alla coscienza.

Freud, quindi, s’accorge d’incontrare delle “resistenze che si oppongono al lavoro analitico: la sua paziente tace, eppure il suo volto è teso e intento: un processo psichico è certamente in corso!

    La storia dell’evoluzione della tecnica psicoanalitica è la storia dei sistemi trovati da Freud per superare la resistenza.

    Ecco una cronologia della tecnica psicoterapeutica di Sigmund Freud:

• 1885-87 Misure neurologiche (riposo, massaggio, idroterapia, stimolazione elettrica

• Fine 1887 Ipnosi

• Metà 1889 Metodo catartico

• Autunno 1892 Tecnica della concentrazione (senza ipnosi)

• 1896 Definitivo accantonamento dell’ipnosi. Parola “psicoanalisi usata per la prima volta


    Nella psicoanalisi, infatti, la resistenza è costituita da potenti controforze psichiche che si oppongono a far ridiventare conscio quanto è divenuto inconscio e al far ritrovare le normali vie di deflusso delle energie istintuali dirottate su soddisfazioni sostitutive.

    In breve, è resistenza tutto ciò che si oppone al lavoro d’analisi.

    Quasi tutti gli studi precedenti sulla resistenza sono stati fatti “dall’alto”; presuppongono già la completa conoscenza della psicoanalisi e ne sistematizzano il concetto.

    Le ricostruzioni storiche dell’origine della psicoanalisi, perlomeno quelle di mia conoscenza, non dedicano più di poche pagine al trattamento dei primi casi clinici di Freud.

    Tra l’altro nel “L’autoanalisi di Freud” di Didier Anzieu (Cfr. DIDIER ANZIEU, “L’autoanalisi di Freud e al scoperta della psicoanalisi”, Roma, Astrolabio, 1976², Vol I, p. 84), a proposito di questi casi clinici ho trovato un’inesattezza. Non è vero che Freud non scrive dell’accusa di alcune voci alla paziente Emmy von N. di uxoricidio: al contrario questo fatto emerge nell’analisi, viene discusso e ha un’importanza etiologica nella fobia sociale della paziente. [cfr. S. FREUD (in collaborazione con BREUER), “Studi sull’isteria” in C. L. MUSATTI (a cura di), “Opere di Sigmund Freud”, Torino, Boringhieri, 1967, p. 226 (Vol. I)]

    Inoltre, ne “La scoperta dell’inconscio di Ellenberger [cfr. H.F. ELLENBERGER, “La scoperta dell’inconscio. Storia della psichiatria dinamica”, Torino, Boringhieri, 1976, p. 561-2] Elisabeth von R. è la paziente che suggerisce a Freud il metodo della “libera associazione”. In realtà tale termine non viene usato mai negli “Studi sull’isteria”, Elisabeth von R. viene curata invece, ancora conl metodo della pressione ed è solo Emmy von N. a suggerire, in istato ipnotico, “in modo decisamente secco” di non interromperla con domande continue e di lasciarla parlare liberamente.

    Questo è uno studio della resistenza attraverso i primi casi clinici di Freud. Di là da definizioni teoriche, per capire veramente il significato del fenomeno in questione, in psicologia, specialmente per i concetti clinici, il modo migliore è quello di vederlo proprio nei casi clinici.

    Per il concetto di resistenza i più adatti sono i primi casi clinici di Freud visti con gli occhi dello stesso Freud: un po’ alla volta, sempre con maggiore nitidezza, si delinea il problema e al sua soluzione.

    Abbiamo un Freud che da pochissimo ha intrapreso la strada misteriosa della cura delle nevrosi. Un Freud che non può non richiamare la nostra simpatia, mentre si fa strada con coraggio, su un continente, quello dell’inconscio, quasi totalmente inesplorato, teorizzato da filosofi e sfiorato da ipnotismi e magnetizzatori.

    Questi primi casi clinici sono anche ricchi di materiale edipico (sentimenti misconosciuti provati nei confronti dei propri genitori). Ma Freud non aveva ancora iniziato l’autoanalisi, che gli consentirà di vincere le sue personali resistenze e di scoprire il complesso di Edipo, ed è quindi, ancora cieco di fronte a fatti chiari sotto i suoi occhi.

    Lo stesso vale peri transfert (sentimenti edipici spostati sul terapeuta) che è presente in tutte le psicoterapie, ma che solo nella psicoanalisi (e questi casi non sono ancora propriamente psicoanalitici) viene interpretato e reso cosciente.

    Un’ultima considerazione per poter in quadrare bene questi casi clinici: benché aperta alle nuove idee, la Vienna “fin de siecle” è pur sempre una Vienna dell’Ottocento e le pazienti appartenenti alle classi della media e alta borghesia, respirano ancora un’aria vittoriana e romantica: i loro gusti, i loro pensieri sono tipici dell’epoca.

    Lo stesso Freud è imbevuto profondamente di spirito scientifico positivistico: benché rivoluzionario, egli è, contemporaneamente, prodotto geniale del suo tempo.

 

1. SIGNORA EMMY VON N.

    Freud s’interessò, a partire dal maggio 1885.

    [La data è confermata dall’autobiografia della figlia della paziente, contenuta negli Archivi S. Freud, Cfr. O. ANDERSSON (1962), “Studies in the Prehistory of Psycoanalisis. The Etiology of Psyconeuroses and some Related Themes in Sigmund Freud’s Scientific Writings” tesi di laurea, Stoccolma, 1966, cit. da D. ANZIEU, o.c., p. 84] della cura di una paziente paziente isterica (nata nel 1848, morta nel 1925 e curata anche da Auguste Forel, secondo Andersson) [Cfr. O. ANDERSSON, o. c., cit. da L. CHERTOCK – R. DE SAUSSURRE, “Freud prima di Freud. Nascita della psicoanalisi”, Bari, Laterza, 1975, pp. 151 ss.] di quarant’anni, vedova, che viveva in Livonia sul Baltico [Cfr. S. FREUD, o. c., pp. 213 ss.] con cui tentò di applicare, per la prima volta, il metodo catartico (catarsi = purificazione) breueriano di scarica ed esplorazione delle emozioni psichiche, sotto ipnosi. [Cfr. J. BREUER, in S. FREUD, o. c. , pp. 189 ss.]

    Egli era ancora completamente sotto l’influsso dell’insegnamento del grande neurologo francese Jean Martin Charcot (1825-1893) e attribuiva essenziale importanza ai traumi psichici nella sintomatologia dell’isteria, su predisposizione ereditaria neurofisiologica.

    La sua evoluzione terapeutica fu lenta e difficile. Era rimasto molto impressionato dalla descrizione data da Charcot del proprio modo di lavorare: rimanere inchiodato a fissare i fatti finchè quelli non gli parlassero.

    Nel tentativo (e bisogna ricordare che non c’erano fin allora tecniche operative terapeutiche riconosciute dal mondo accademico, neanche una teoria scientifica sull’isteria, d’altronde) di guarire la Signora Emmy von N. dai suoi numerosi disturbi, che non sembravano obbedire alla neuroanatomia e avere cause organiche, Freud ricorse al metodo catartico di Breuer: un sistema d’indagine psichica, ma soprattutto di scarica (abreazione) di emozioni psichiche sotto ipnosi.

    Breuer aveva parlato del suo metodo, in privato, a Freud quando questi era ancora studente, destandone il suo profondo interesse, tanto che m più tardi, a Parigi, cercò, invano, di richiamare l’attenzione di Charcot su questo nuovo metodo d’analisi e di cura.

    La Signora Emmy von N. veniva quindi ipnotizzata e in questo stato era invitata a riferire i fatti attinenti ai suoi disturbi: emergevano catene di ricordi: quasi sempre dopo questa rievocazione e scarica (nel metodo catartico il paziente viveva intensamente i suoi ricordi che riportava in ipnosi accompagnandoli con pianto, espressioni di stizza, rabbia, scariche di aggressività inespressa) i sintomi in questione non si ripresentavano più.

    La resistenza (gli ostacoli al trattamento dovuti alla difficoltà provata nel riportare a voce ricordi penosi), che veniamo a esaminare, in questo caso, si manifestò fin dalla pria seduta: la paziente mostrava dei segni ansiosi d’impenetrabilità che potevano lasciare, forse, perplessi sull’analizzabilità del caso e sulle possibilità di guarigione.

    Infatti, nella sua esposizione la signora parlava a voce bassa, s’interrompeva frequentemente, faceva fatica, balbettava. Ogni tanto un singolare schiocco con la bocca.

    Ogni pochi minuti si fermava, assumeva un’espressione d’orrore e di ribrezzo, tendeva la mano con le dita contratte ed esclamava: “Stia zitto! non parli! non mi tocchi!” con voce angosciata. Per Freud si trattava di una formula protettiva contro l’accesso alla coscienza sotto forma d’allucinazione di pensieri che la terrificavano.

    Ed era una specie di tic: l’ammalata, dopo, continuava il suo discorso senza essersi nemmeno
accorta dell’interruzione.

    A volte, durante l’ipnosi, ella rifletteva un po’ prima di rispondere e non riusciva a parlare immediatamente, ma dopo un certo tempo. Altre volte, per la forte emozione di ciò che raccontava le si torcevano le mani per l’orrore [Cfr. S. FREUD, o. c., p. 213 ss. – Gli stati d’inibizione, sintomi clinici della efficacia delle difese patogene, sono indici di resistenza, cfr. il test di associazione verbale ideato da Carl Gustav Jung: un elenco di parole, il paziente risponde per ogni parola stimolo con una parola risposta. Se c’è resistenza, e quindi complesso psichico, il soggetto ha un tempo di risposta più lungo e presenta significative variazioni fisiologiche come la variazione della conduttività elettrica della pelle, misurabile con uno psicogalvanometro e le variazioni nel ritmo della respirazione.]

    L’esplorazione dell’inconscio di Frau Emmy von N. non fu eccessivamente penetrante. Freud si servì anche di suggestioni terapeutiche dirette e le coadiuvò con messaggi, bagni e riposo.

    Nel corso del trattamento ipnotico emerse la causa del suo strano schiocco che compariva quando era spaventata e in stato ansioso. Quando seduta a capo del letto della figlia gravemente ammalata si era prefissata con tutte le sue forze di non far alcun rumore per disturbarla.

    Possiamo avere in questi primi casi clinici la curiosa impressione di una scena mistica di esorcismo: il neurologo, improvvisatosi psicoterapeuta e inventore di sistemi psicoterapeutici inusuali (perché ha trovato inefficienti le misure neurologiche, con questo tipo di pazienti) che cerca di tirar fuori il demone della paziente (il materiale inconscio troverà per Freud molti anni dopo, la sua massima personificazione nella figura del demonio) che fa fatica, soffre e le è spesso impossibile tirar fuori dal suo inconscio le rappresentazioni patogene ricercate dall’analisi. Come per la spiegazione della sua formula protettiva: lo “Stia zitto!” dovuto al fatto che le parole dell’interlocutore le causavano allucinazioni di animali che si avventavano su di lei; il “Non mi tocchi!” dovuto a quattro esperienze angosciose avute a molta distanza di tempo l’una dall’altra, ma perfettamente congiunte nella sua psiche; nel riferirle, iniziava con “come” e congiungeva con “e” le sue diverse esperienze.

    Freud fece sparire mediante la suggestione ipnotica tali timori e la formula non si ripresentò più. Tra l’altro, egli le regolarizzò, con successo, il ciclo mestruale.

    Come sempre accade, la paziente faceva resistenza ad ammettere durante l’analisi, sue passate esperienze dolorose, ciò, invece, aveva grande importanza se si voleva arrivare alla guarigione. Per esempio, per la spiegazione della balbuzie: a un “non so”, l’ordine di Freud fu di ricordarsene bene alla successiva ipnosi. Poterono quindi, emergere le esperienze che l’aveva causata: i cavalli della carrozza, su cui era con le figlie che in due occasioni s’erano imbizzarriti: il suo sforzo di non gridare per non irritarli ulteriormente e agevolare al cocchiere il compito di fermarli. Durante il racconto era eccitata enormemente e presentava contrazioni spastiche che disturbavano il suo eloquio.

    Analogamente numerose esperienze l’animali che l’avevano spaventata avevano provocato in lei la zoofobia.

    Vennero alla luce, causandone la scomparsa, le esperienze determinanti dei suoi timori per i manicomi, i malati di mente, delle sorprese, della sua gastralgia, l’angoscia che qualcuno stesse dietro di lei e quella per gli estranei. Per quest’ultima, Anzieu scrive:

    “Nell’osservazione clinica pubblicata Freud non scrive, ma Andersson (1965) lo scoprirà nell’autobiografia della figlia della paziente (…) che alcune voci l’avevano accusata di avere avvelenato il marito dal quale aveva ereditato un considerevole patrimonio; l’inchiesta giudiziaria si concluse con un non luogo a procedere.” (ANZIEU, 1975, p. 84)
ma Freud, invece scrive:

    “E poi, dopo la morte del marito, non aveva avuto che mortificazioni e agitazioni. I parenti di lui, che erano sempre stati contrari al matrimonio e che poi si erano infuriati di vederli felici insieme, avrebbero sparso la voce che fosse stata lei ad avvelenarlo, per cui voleva promuovere un’inchiesta. A mezzo di un odioso “azzeccagarbugli” i parenti l’avrebbero perseguitata con ogni specie di processi. Quella canaglia mandava in giro agenti per sparlare di lei, faceva pubblicare articoli diffamatori contro di lei nei giornali locali e gliene mandava poi i ritagli. Da lì provenivano il suo desiderio di isolamento e la sua fobia per tutte le persone estranee. “ (S. FREUD, 1895, P. 226)

    Questo caso fu molto istruttivo per Freud, la paziente, in ipnosi, sorvegliava la sua condotta terapeutica: veniva a rimproverarlo di alcune interruzioni al corso dei suoi pensieri e di alcune inutili assicurazioni didattiche (nelle cose nuove c’è anche un aspetto positivo, fra il bene e il male ci sono molte cose intermedie di cui nessuno deve rimproverarsi, ecc.) che egli le faceva qualche volta. Questo caso ha una grande importanza per la storia della psicoanalisi e per la “lotta” contro la resistenza, soprattutto perchè sempre nell’ipnosi, una volta la Signora Emmy von N. gli domandò, esplicitamente di non fare domande sulla causa di questo e quello, ma di lasciarla parlare liberamente. E questo è uno storico suggerimento sulla via, non tarda a venire, delle libere associazioni e quindi del metodo psicoanalitico.

    Ed è Emmy von N. a proporgli questo metodo:
“in modo decisamente secco mi dice di non domandarle sempre da dove vengono questo e quello, ma di lasciarla raccontare quel che ha da dirmi. “ (FREUD, 1895, P. 226),
e non Elisabeth von R. come sostiene Ellenberger:
“Nella storia di Elisabeth von R. egli descrisse il nuovo metodo della “libera associazione”, che gli era stato proposto dalla paziente stessa.” (ELLENBERGER, 1970, pp. 561-2)

    Negli “Studi sull’isteria”, tra l’altro, il termine “libera associazione” non compare mai ed Elisabeth von R., come vedremo, è curata ancora con il metodo della pressione; non risulta, inoltre, che Elisabeth proponga direttamente un qualsiasi metodo terapeutico.

    Più in seguito, nella storia della psicoanalisi, il concetto di resistenza assumerà tutt’altro aspetto conglobando innumerevoli processi che hanno per scopo l’opposizione che nasce dall’interno del paziente di ostacolare il progresso dell’analisi [Cfr., tra gli altri, J. SANDLER – C. DARE – A. HOLDER, “Il paziente e l’analista. I fondamenti del processo psicoanalitico”, Torino, Boringhieri, 1974, pp. 68-81)

    In questi primi casi clinici, invece, la resistenza è costituita quasi esclusivamente dalla fatica che le pazienti fanno a ricordare rappresentazioni e idee dolorose in conflitto con le norme sociali e con la propria autostima.

    Bisogna, infatti, precisare che in questo, e negli altri primi casi clinici, vale il primo modello d’analisi freudiano in cui è centrale il conflitto tra l’Io e l’ambiente e per il quale:

1. Io = Coscienza
2. Inconscio = Ciò che l’ambiente disapprova
3. Energie psichiche = Affetti

    L’analisi è fondata sui ricordi di esperienze traumatiche in contrasto con le convinzioni sociali e l’autostima del paziente.

    Successivamente, nel nostro secolo, Freud modificherà il suo modello d’analisi più volte con l’introduzione di nuovi concetti.

    L’analisi è fondata sui ricordi di esperienze traumatiche in contrasto con le convinzioni sociali e l’autostima del paziente.

    Successivamente, nel nostro secolo, Freud modificherà il suo modello d’analisi più volte con l’introduzione di nuovi concetti.

    Freud era un po’ come un esploratore che si faceva strada in una fitta foresta di un continente sconosciuto: eliminava gi ostacoli su suo cammino, come poteva e come trovava al momento: pur di vincere la resistenza, egli non esitava a usare il suo potere di medico: per esempio, nella ipnosi, alla domanda del perché mangiasse poco e perché non potesse bere acqua, la paziente rispose con “Non so”. Freud le prescrisse, da sveglia, di bere acqua e mangiare di più. Lei lo fece e cadde in uno stato depressivo, dicendo che le si era guastato lo stomaco per aver obbedito controvoglia; la successiva ipnosi non riuscì, per la prima volta.

    Freud sconfisse questa resistenza con la minaccia di abbandonare il trattamento se per il giorno dopo ella non avesse cambiato idea sulla genesi della sua inappetenza e temporanea idrofobia. Il giorno dopo la paziente era più remissiva: l’ipnosi riuscì e furono rievocate le vere esperienze determinanti. Da quel momento non ebbe mai più disturbi d’alimentazione.

    Spesso, nonostante l’allargamento della memoria in ipnosi, alle domande di Freud, la Signora von N. rispondeva: “Questo non lo so”. Egli allora la incoraggiava a ricordarsene, certo della presenza del ricordo e della resistenza a farlo affiorare alla coscienza. A volte dopo queste insistenze, la paziente ricordava tutto. A volte non ci riusciva: in questo caso Freud impartiva la suggestione postipnotica di ricordarsene a una data ora del giorno dopo: sempre succedeva che, all’ora precisa, alla paziente veniva in mente l’evento dimenticato.

    Abbiamo, quindi potuto vedere che una forza psichica si opponeva alla riemersione di ricordi dolorosi. Essa si faceva sentire in diverse forme cercando di far deragliare l’analisi, per esempio. Frau Emmy von N. presentava dei “falsi nessi” (false spiegazioni per i suoi malesseri, razionalizzazioni): irrequieta, rispondeva che era in tale stato perché preoccupata della insicurezza della figlia. L’ipnosi mostrava, invece, le vere ragioni di quell’irrequietezza: le preoccupazioni per le proprie irregolarità mestruali. E ancora, a proposito di un suo periodo depressivo: la spiegazione de che dette fu che esse erano dovute ai bagni freddi prescrittole. L’ipnosi rivelò, invece, le sue preoccupazioni per il fratello a San Domingo dove era scoppiata una rivoluzione proprio in quei giorni.

    Il merito di Freud non è quello di aver scoperto la resistenza, già nota agli ipnotisti [Essi sapevano per esperienza che, a volte, nell’ipnotizzare alcuni pazienti trovavano ostacolo e che certi ordini ipnotici venivano eseguiti solo parzialmente e ignorati], ma di averla analizzata e trovato e indicato gli strumenti per vincerla.

    Abbiamo potuto vedere come questo caso e gli altri in cui usò l’ipnosi analitico catartico insegnarono a Freud:

    [Freud per circostanze personali, non pubblicò per intero il caso d’isteria più grave e istruttivo, quello della Signora Cecilie, che ebbe modo di analizzare approfonditamente, insieme a Breuer, per quasi tre anni, probabilmente tra il 1890 e il 1893, nel suo primo periodo (Cfr. S. Freud, o. c. pp. 231 ss, 327 ss). Riporto, quindi, solo il fatto che la paziente, nella prima fase della psicoterapia non riusciva a ricordare numerose esperienze passate: la sua memoria, per il resto brillante,era clamorosamente piena di lacune.
Quando forze affettive lavorano contro l’intelletto, questo diventa debole. Ma si tratta di inibizioni intellettuali di comodo: non si ricorda o non si capisce, quando non si vuole ricordare o capire, tanto che, per scherzo, gli psicoanalisti dicono: “una leggera demenza dovuta a resistenza”. A un certo punto, però essa riuscì a rievocare un’esperienza importante de suo passato. Il primo anello di una immensa catena di ricordi che si ramificava. Da quel momento potè raccontare in analisi, rivivendo le emozioni corrispondenti le sue esperienze, spesso traumatiche. Le emozioni della serie si preannunciavano già qualche ora prima dell’ipnosi, con stati depressivi, ansiosi o di spavento che la paziente razionalizzava con “falsi nessi” (Cfr. p. 27).    

    In una nota unica degli “Studi sull’isteria” (Cfr. S. FREUD, o.c., p. 257), Freud menziona il caso di una paziente isterica affetta da gravi disturbi nella deambulazione. L’analisi, non conclusa, durò cinque mesi. La giovane veniva accompagnata dal padre, anche lui medico, che assisteva alle ipnosi. La resistenza all’emersione dei ricordi – causa era tenace. Freud allora, fresco ed entusiasta psicoterapeuta, ma ancora giovane di esperienze, di fronte a i numerosi tentativi a vuoto, perse la pazienza e ordinò che l’ombrello con cui ella soleva sorreggersi si sarebbe rotto il giorno dopo per poi non esser più usato. Puntualmente, e con sorpresa dello stesso Freud, la ragazza, in istrada, il giorno dopo, obbedendo all’ordine ipnotico improvvisamente incominciò a cantare segnando il ritmo con al punta dell’ombrello che si ruppe. I disturbi, però, persistevano. Freud, tetragono, continuò le sedute ipnotiche: emerse il ricordo penoso di un cugino morto di cui si considerava fidanzata. I disturbi non cessarono. Freud insistette: la ragazza incominciò a parlare, sempre in ipnosi, del vero nucleo patogeno della sua nevrosi, ma presto ammutolì. Il padre che assisteva all’ipnosi, incominciò a singhiozzare dal pianto. La resistenza era stata vinta, ma date quelle circostanze, l’analisi fu interrotta e la paziente non tornò più.
Anche a proposito della signorina diciannovenne Mathilde H., c’è solo una nota (Cfr. FREUD, o.c. p, 315). Freud già l’aveva esaminata per una paralisi, ma il trattamento ipnotico fu intrapreso in seguito, a causa di una grave depressione. Non presentava resistenza all’ipnosi: in tale stato, poi, ricordava molte cose accompagnandole col pianto, ma il suo stato mutava di poco. A un certo punto la rivelazione: la rottura di un fidanzamento avvenuta diversi mesi prima, dovuto alla madre, ma su cui era stato in dubbio per molto tempo. Il suo stato depressivo era, in pratica, proprio un continuo rimarginare sulla giustezza della scelta e una grande aggressività verso la madre che s’esprimeva in una totale mancanza di riguardi. Nella successiva seduta, la paziente piangeva solamente e non riusciva a dir più nulla, questo fino all’anniversario dell’avvenimento, circa. Allora, fu completamente libera dei suoi disturbi. I sintomi erano, quindi, dovuti alla non accettazione di una situazione dolorosa.]

1. L’inutilità delle assicurazioni didattiche;
2. L’importanza di non interrompere il flusso dei pensieri portati dal paziente in analisi;
3. L’ipnosi non elimina certo le resistenze, anzi le occulta: in questo stato esse si arroccano in difesa di materiale meno marginale e più vicino al nucleo delle nevrosi;
4. La guarigione con l’ipnosi è solo sintomatica e transitoria. Essa è in funzione del buon rapporto col medico [Ricordiamo che in questi primi casi clinici il transfert non è ancora analizzato] Se s’interrompe questo, possono presentarsi nuovi sintomi.

    Aggiungendo che la percentuale degli ipnotizzabili gli risultava bassa e che le prove per stabilire il grado dell’ipnosi gli guastavano la fiducia dei pazienti, che ogni insuccesso terapeutico non giovava alle sue, allora, non troppo buone condizioni finanziarie [Dei malati nervosi, pazienti di Freud, da un terzo alla metà non erano malati neurologici], considerando l’esperienza personale di aver visto una paziente al risveglio, su insistenza di Bernheim di Nancy, raccontare ciò che era successo durante l’ipnosi, si può capire come mai Freud abbandonò il metodo ipnotico in favore di un nuovo sistema che venne man mano elaborando: la tecnica della “pressione “ che esamineremo nel prossimo capitolo.



 2. MISS LUCY R. 
   

    Un medico amico di Freud gli mandò in trattamento una giovane istitutrice inglese, gravemente depressa, che aveva, tra l’altro, perduto quasi completamente il senso dell’olfatto.

    A metà strada fra il metodo catartico e la psicoanalisi, il trattamento di Miss Lucy R., durato nove settimane tra la fine del 1892 e il principio del 1893, ebbe luogo senza l’uso dell’ipnosi: i primi tentativi persuasero Freud a non usare questo metodo, perché essa presentava resistenza a divenire sonnambula . [Cfr. S. FREUD, o. c., pp. 263 ss.]

    L’analisi potè avere luogo lo stesso con la paziente in posizione supina,c on gli occhi volontariamente chiusi, e pregata di concentrare la sua attenzione sul sintomo, cercando di richiamare qualunque ricordo attinente (“concentrazione”) la sua origine.

    Freud era certo che la mancanza dell’ipnosi non pregiudicava la possibilità di ripescare i ricordi patogeneticamente importanti.

    Nella “Comunicazione preliminare” agli “Studi sull’isteria”, Freud e Breuer avevano sostenuto che i ricordi patogeni sono assenti dalla memoria nello stato psichico ordinario. Ma dall’esperienza avuto in Francia (una paziente, al risveglio dopo l’ipnosi, riesce, su insistenza dell’ipnotizzatore, a ricordare tutto ciò che era successo durante l’ipnosi) egli trasse un buon aiuto.

    Quando la paziente affermava di non conoscere o non ricordare le esperienze traumatiche, cause dei sintomi, egli le premeva la mano sulla fronte, certo che al cessare della pressione, l’immagine le sarebbe venuta in mente (“pressione”).

    Se la paziente offriva resistenza ai ricordi, Freud non si scoraggiava e insisteva fino a costringerla a dare comunicazione dell’idea che si era affacciata alla mente, sicuro, come aveva appreso nelle cliniche di Nancy, che nella psiche tutto è conservato e occorre soltanto fare in modo di richiamare alla mente ciò che si affermava di non ricordare.

    Succede, e Freud l’ha scoperto, che noi opponiamo critiche ad alcune idee che si affacciano alla nostra coscienza; le consideriamo impressioni errate, emozioni non vissute, pensieri che non ci appartengono. Esse sono in conflitto con nostre posizioni morali e ideali. Tale incongruenza genera una non accettazione di alcune idee che pure noi stessi abbiamo generato.

    Durante la psicoanalisi, e anche in queste analisi prepsicoanalitiche condotte da Freud stesso, i pazienti selezionano i loro pensieri: ne considerano alcuni inessenziali e trascurabili, non li riconoscono come propri.

    Questa cecità a occhi aperti è esplicata dal racconto volutamente incompleto che la giovane precettrice diede alla sua prima seduta psicoterapeutica. Tacque proprio l’essenziale, il suo amore per il padre delle bambine la cui educazione e istruzione le erano state affidate. Cercava in tutti i modi di toglierselo dalla testa, e di non pensare a lui mai più.

    Le abili doti psicodiagnostiche di Freud gli permisero di intuire la situazione come effettivamente stava e di completare l storia dandone comunicazione alla paziente che non avrebbe voluto conoscere la per lei sgradevole realtà.

    E fu pure quasi una lotta quando si cerò di arrivare alle cause dei disturbi del senso dell’olfatto. Freud che insisteva affinché emergessero i ricordi sempre più importanti e determinanti, la paziente che avrebbe voluto non ricordare, ma che era messa di fronte agli schiaccianti dati obiettivi che essa stessa forniva e che non avrebbe voluto accettare: alcuni rimproveri per cose minute che li padrone di casa, vedovo e padre delle bambine le faceva qualche volta e che invalidavano la possibilità sperata di vedere ricambiato il suo sentimento d’amore; ella preferiva cancellare queste esperienze disillusorie e non si formava una rappresentazione oggettiva della realtà.

    Secondo Freud, per difesa, l’idea dolorosa, incompatibile con le istanze morali della giovane governante veniva dimenticata.

    Un impulso respinto costituisce, rispetto all’Io, una specie di “enclave”, uno Stato completamente circondato da una altro Stato, come lo è San Marino dall’Italia. La resistenza si esprime di fronte alla tenuta possibilità dell’espressione diretta di questi desideri istintuali nella loro forma originaria.

    Poiché è scopo dell’analisi la reintegrazione nell’Io (spesso abdicatario per il quieto vivere) di queste “enclaves”, la resistenze si fanno sentire e ostacolano questo processo. Tali “enclaves”, poi sono nuclei attivi, calamite di esperienze che invaliderebbero l’esistenza dell’istituzione difensiva: esperienze similari e, comunque, sovversive della rimozione devono fare la stessa fine e vengono, quindi, catturate anch’esse dall’inconscio.

    La guarigione, come spesso accade, non procedette parallelamente al progresso dell’analisi: solo quando fu analizzato e visto alla luce della realtà l’ultimo elemento in gioco la paziente fu libera dai suoi disturbi.


3. - SIGNORA “AGORAFOBICA”
- KATHARINA
- SIGNORA DELLA SCENA PRIMARIA
  
   

    Dalla nota unica ne gli “Studi sull’isteria” (Cfr. S. FREUD, o.c., pp. 268-9) dedicata alla signora trentottenne in trattamento per agorafobia e accessi di angoscia della morte, vorrei riportare qualche battuta, perché, credo, può rendere chiaro e vivace il concetto di resistenza e la tecnica prepsicoanalitica della concentrazione.

    I pazienti, infatti, avevano promesso all’inizio della terapia di riferire tutto quanto fosse loro venuto in mente, eppure ciò non sempre succedeva. Essi continuavano a esercitare autocritiche. Nell’istante che qualche pensiero, se potenziale ed essenziale elemento eversore dell’equilibrio psichico esistente, s’affacciava alla mente durante la pressione: continuavano a scacciarlo, adducendo immediatamente a loro stessi ragioni scusanti (pensiero troppo stupido da essere riferito, inessenziale, non pertinente, non quello cercato ecc).

    Contro l’intensa e continua forza della resistenza, Freud aveva imparato a opporre un’intensa e continua insistenza col sistema d’analisi “della pressione”:

- Ma allora deve essere accaduto qualcosa già alcuni giorni prima, qualcosa che l’agitava, che le faceva impressione!
- Non ne so niente, sono passati ventun anni.
- Non importa. Lei ricorderà egualmente. Le premerò sulla testa, e quando smetterò di premere, lei penserà a qualcosa o vedrà qualcosa, quella cosa poi la dirà.
Eseguo; ma essa tace.
- Allora, non le è venuto in mente niente?
- Ho pensato a una cosa, ma non può esserci una connessione
- La dica ugualmente.
- Ho pensato a un’amica, una ragazza giovane che è morta. (…)

- Si ricorda a cosa stesse pensando quando lei ebbe l’accesso di vertigine in istrada?
- Non pensavo a niente, soltanto a un senso di vertigine.
- Questo non è possibile; questi stati non si producono senza un’idea che li accompagni. Premerò di nuovo e il pensiero di allora le ritornerà. Dunque che cosa le è venuto in mente?
- Mi è venuto in mente: “Adesso io sono la terza”.
- Che cosa significa questo?
- Quella volta devo aver pensato: “Adesso muoio anch’io, come le altre due ragazze.
- Era quindi questa l’idea. Lei ha pensato, durante quell’accesso, all’amica. La sua morte, quindi, le deve aver fatto una grande impressione.
- Certamente sì, mi ricordo adesso; quando seppi che era morta, fu per me terribile dover andare a un ballo e mi ero tanto data da fare nei preparativi, non volevo neanche pensare al triste avvenimento. (…)

- Sa lei quando in quel mese ci sono state le mestruazioni?
Essa si irrita:
- Anche questo devo sapere? So soltanto che in quell’epoca erano molto rare e irregolari. A diciassette anni le ebbi una volta sola.

    La resistenza qui è lampante: la paziente non voleva ammettere la morte dell’amica per non rinunciare al ballo cui tanto le sarebbe piaciuto partecipare. Questo pensiero rimosso, però, faceva sentire la propria esistenza con il senso di vertigine. Le forze che premevano per la non ammissione alla coscienza del pensiero, generatore in questo caso del sintomo isterico, boicottavano l’analisi: non si poteva far luce, perché la paziente non voleva far luce su un desiderio incompatibile con le sue posizioni morali.

    Questo caso non è pubblicato per intero: ma la sola nota esplicativa è interessante per la sua vivacità e per la sua capacità d’immergere chiunque nel vivo e nel pieno dei primi tentativi d’analisi di Freud, rendono chiara la resistenza, questa opposizione all’analisi e alla coscientizzazione dei ricordi rimossi.

    Rileggendo oggi, cento anni dopo, questi casi, può suscitare qualche critica, forse, in queste tecniche terapeutiche l’uso che fa Freud della sua posizione di medico. Per esempio Jay Haley (Cfr. J. HALEY, “Le strategie della psicoterapia”, Firenze, Sansoni, 1977 (2), pp. 110-132 e pp. 265-276), mette molto l’accento sulla relazione tra l’analista e il paziente nella psicoanalisi freudiana, in cui il primo deve aver un’indiscussa posizione di potere e ogni tentativo di rompere questo stato da parte del secondo viene reso sistematicamente impossibile.

    Bisogna precisare, però:
1. Il rapporto medico - ammalato di cento anni fa era molto diverso da quello attuale: la figura del medico godeva di un’autorità effettivamente maggiore, nei secoli prima ancor di più, l’ammalato era più dipendente.
2. Non c’erano nelle cure dei disturbi isterici tecniche terapeutiche alternative, il lavoro di Freud è lavoro di pioniere.
3. La tecnica utilizzata necessitava d’intransigenza: se egli avesse assecondato la riluttanza del paziente a riferire le esperienze patogene, la resistenza avrebbe vinto e al guarigione sarebbe stata irraggiungibile.
4. Negli “Studi sull’isteria” fa comparsa, per la prima volta, insieme a “resistenza”, anche il termine “ubertragung”, cioè traslazione (transfert), non già nel pieno significato psicoanalitico e “edipico”, ma per indicare la possibilità di rivolgere sul medico le rappresentazioni penose dell’analisi. Senza considerare in particolare le importanti implicazioni terapeutiche del fenomeno di traslazione, precisate da Freud più tardi, agli inizi del secolo, diremo che la posizione d’autorità del medico, la sua onnipotenza, presunta dal paziente, spiana la strada verso la guarigione.

§ § §
 

    Freud veniva ad allearsi con la psiche non malata del paziente: lo trasformava in un collaboratore, in ricercatore obiettivo, un osservatore introspettivo che collaborava attivamente alla terapia. Come in questo caso singolare in cui, non fa ricorso all’ipnosi, né alla tecnica di concentrazione e pressione.

    In vacanza, probabilmente neo 1894, era assorto nella contemplazione di un bel panorama di montagna, quando fu interpellato da una ragazza che gli aveva servito poco prima il pasto nel rifugio alpino lì nei pressi. (Cfr. S. FREUD, o. c., pp. 280 ss.)

    La ragazza di circa diciotto anni, che Freud aveva visto svolgere le sue mansioni con un’espressione accigliata, e che aveva sentito chiamare Katharina dall’albergatrice era in realtà la figlia di questa. Alta e robusta, appariva, però afflitta e infelice. Soffriva da due anni accessi d’angoscia: all’improvviso le mancava il fiato, le si appesantiva la testa, sentiva un fortissimo ronzio, un senso di vertigine, il petto che si schiacciava, gli occhi compressi, le si stringeva la gola.

    Tali sensazioni ansiose che, secondo Freud, erano dei veri e propri attacchi isterici, il cui contenuto era l’angoscia, spegnevano il naturale coraggio della ragazza che poi, per il resto della giornata non poteva andare in nessun posto: credeva di morire e che ci fosse qualcuno dietro di lei che l’afferrasse. Durante l’attacco, la ragazza aveva l’allucinazione di una terribile faccia che la fissava.

    L’analisi si svolse all’aperto, Freud e la ragazza seduta davanti a un bel panorama di montagna a più di duemila metri di altezza. Non si ricorre all’ipnosi e tutto sembra solo una chiacchierata. Alle dirette domande di Freud se riconosceva la testa della sua allucinazione e le cause dell’attacco, la ragazza rispose di no. Come risulta dal seguito del discorso, con l’aiuto di Freud, essa arriva a ricordare tutte le cause dei disturbi: l’aver sorpreso il padre in rapporto incestuoso con la figlia, sua sorella e, in seguito averlo detto alla madre; lo stesso padre che anni pria l’aveva insidiata sessualmente più volte quand’era ubriaco. Può riconoscere, poi, anche la testa: dello stesso padre, furibondo e minaccioso verso di lei che l’incolpava d’essere la causa della separazione dalla moglie, perché aveva parlato.

    Durante la conversazione-analisi con Freud viene facilmente sconfitta la resistenza e Katharina è in grado di ricordare tutte le cause dei suoi sintomi e di riconoscere tutte le cause dei suoi sintomi e di riconoscere il volto delle sue allucinazioni: lo aveva sempre saputo, ma non consciamente.

    Una forza potente s’opponeva. D’altro canto, questo materiale premeva alla coscienza e si faceva strada in qualche modo, come poteva, con la somatizzazione attraverso i sintomi isterici.

    Alla fine del racconto la ragazza non mostrava più i suoi caratteristici segni di sofferenza: aveva uno sguardo più ravvivato, era molto sollevata, non era più tesa. Senza dubbio questo sfogo a parole le giovò molto, ma date le condizioni singolari d’analisi, non è possibile pronunciarsi sull’esito del caso. Freud dice di non aver più rivisto la ragazza.

    Fino a trent’anni dopo la pubblicazione degli “Studi dell’isteria” si parlava nel caso, per discrezione, dello zio e della zia al posto dei genitori della ragazza, deformazione che Freud stesso giudica, in una nota aggiuntiva el 1924, assolutamente da evitare, perché particolare non inessenziale.


§ § §

    In una breve nota esplicative, Freud parla di una giovane signora che durante la prima fase del trattamento non voleva ammettere l’importanza della sessualità nell’etiologia della sua nevrosi. (Cfr. S. FREUD, o.c., p. 282) [Probabilmente, questo caso risale alla primavera 1893, perché in una lettera a W. Fliess di quel periodo, Freud ne fa cenno. Cfr. D. ANZIEU, o.c., p. 93]
La sua resistenza al trattamento non diminuì fino a quando non ebbe acquistato molta confidenza: allora, improvvisamente, confessò che i suoi attacchi s’erano avuti la prima volta quando da piccola aveva sentito qualcosa che l’aveva eccitata molto, vedendo il padre che entrava nel letto della madre.

    In seguito, sarà per Freud, resistenza anche la difficoltà da parte della scienza e del mondo civile ad accettare la psicoanalisi, principalmente per quanto emerso dalle numerosissime analisi condotte da questo coraggioso pioniere a proposito della vita sessuale dell’uomo, in un’epoca e in una Vienna in cui la moralità vittoriana dominava. A mio modesto parere, se oggi si considera la sessualità più liberamente, ciò è dovuto, in buona misura, anche alle scoperte di questo grande uomo.

   

4. SIGNORINA ELISABETH VON R.
  

    Nell’ autunno del 1892, un collega amico di Freud lo invitò a visitare una signorina ventiquattrenne, ritenendo che fosse un’isterica, che camminava lievemente curva in avanti e che soffriva di dolori alle gambe. (Cfr. S. FREUD. o.c., pp. 290 ss)

    La signorina Elisabeth Von R. è stata la prima paziente curata senza ipnosi, ma quasi contemporaneamente a Miss Lucy R.

    E’ questo uno dei casi più belli e interessanti di Freud, il primo di cui fu soddisfatto della completezza dell’analisi. A parte l’aspetto clinico, sembra quasi una novella romantica: nello scritto viene tracciato un quadro mirabile delle emozioni, delle ambizioni, dei sentimenti della vita interiore di una donna. Tanto che ne fu tratto un film, “Il filo rosso” con Curd Jurgens, ed Henry Denker ne scritte tre atti teatrali.

    I tentativi d’ipnotizzare Fraulen Elisabeth non dettero alcun risultato incoraggiante. Freud, allora, rinunciando all’ipnosi ricorse al metodo della pressione: distesa, a occhi chiusi, le domandava, come abbiamo visto, direttamente a quali impressioni erano collegati i dolori al loro primo apparire, invitandola riferire sinceramente, il pensiero che le si fosse presentato alla mente, senza scacciarlo, nel momento della pressione della sua mano sulla fronte.

    Fece subito comparsa la resistenza: essa tacque a lungo. Ma, poi, confessò, dietro le insistenze di Freud, di aver pensato a un giovanotto che l’aveva accompagnata una sera a casa quando il padre era ammalato e aveva lei il compito di assisterlo. Si era molto rimproverata: le condizioni del padre erano, al suo ritorno, peggiorate ed ella aveva sottratto tempo all’assistenza per andare a un ricevimento. Fu quello, per lei, un bruttissimo periodo: il suo primo amore, poi, fallì; e il padre, in seguito morì.

    In maniera simile a quanto farà, molti anni dopo, Jung col test di associazione verbale [Gli stati d’inibizione, sintomi clinici della efficacia delle difese patogene, sono indici di resistenza, cfr. il test di associazione verbale ideato da Carl Gustav Jung: un elenco di parole, il paziente risponde per ogni parola stimolo con una parola risposta. Se c’è resistenza, e quindi complesso psichico, il soggetto ha un tempo di risposta più lungo e presenta significative variazioni fisiologiche come la variazione della conduttività elettrica della pelle, misurabile con uno psicogalvanometro e le variazioni nel ritmo della respirazione.] era molto attento a tutto quello che aveva scoperto essere spia di segnalazione della resistenza come il comportamento non verbale dei pazienti, non perdeva mai di vista l’espressione del loro volto; particolare attenzione dedicava alla pausa tra la pressione e la comunicazione dei pazienti: più diventava diffidente e insistente quanto più era lunga questa pausa.

    Se il paziente dopo la pressione esitava, egli era certo che la resistenza stava lavorando, generalmente eliminando particolari importanti e soprattutto “strappando effetti” alle rappresentazioni apparse. Cioè, come accade nei sogni (e anche questa è una scoperta di Freud) si ha uno spostamento d’accento: gli affetti connessi a determinate rappresentazioni mentali si spostano su rappresentazioni più neutre e meno compromettenti (Cfr. S. FREUD, “L’interpretazione dei sogni” in C.L. MUSATTI, o.c., vol. III, cap. 6, par. B), rendendo “stupide, non pertinenti, inessenziali” le idee affacciatosi alla mente.

    Così, per lungo tempo, Elisabeth non riportò un particolare importante: il punto da cui s’irradiavano i dolori era proprio quello dove soleva poggiare, ogni giorno, la gamba del padre per cambiare le bende.

    Quando si evocavano ricordi spiacevoli, ricomparivano, puntualmente, anche i dolori alle gambe. Freud allora, se ne serviva come spia di segnalazione della resistenza, persistendo i dolori, il racconto era incompleto; egli, ogni volta, insisteva nel far riferire tutti i ricordi e le idee fino alla scomparsa completa dei dolori. Contemporaneamente, la resistenza era l’indice della giusta direzione del trattamento.

    Le oscillazioni dello stato di salute, oltre che della “pulizia” analitica, erano anche in funzione degli avvenimenti della giornata che rievocavano i suoi dolori come, per esempio, la visita del figlio della sorella morta.

    Così Freud pensò di ricorrere anche a un ulteriore metodo per sconfiggere la resistenza: la invitava, per esempio, a far visita alla tomba della sorella e a partecipare a un ricevimento dove avrebbe incontrato l’uomo dei suoi sogni di adolescente. Quindi, analizzava le emozioni rievocate.

    La realtà clinica della resistenza è in questo caso che viene menzionata da Freud, esplicitamente, per la prima volta. E’ nel trattamento di Elisabeth von R(itter), infatti che egli arriva alla chiara presa di coscienza della resistenza, autentica e diretta avversaria della psicoterapia. Il termine “widerstand” (resistenza), compare per la prima volta in questo caso, scritto nel 1893. Elisabeth, a volte taceva, ma a Freud non sfuggiva neanche il comportamento non verbale: l’espressione del volto durante il silenzio era loquace: qualche processo psichico ferveva!

    Egli si convinse che tutti i pazienti venivano meno al patto analitico perché non gli comunicavano tutto ciò che affiorava loro alla mente, e che lo reprimevano di nuovo.

    Ecco le sue parole:

- “Accadeva spesso che essa mi facesse una comunicazione soltanto dopo la terza pressione, ma che poi aggiungesse spontaneamente: “Questo avrei potuto dirglielo anche la prima volta”.
- “E perché, allora, non lo ha detto subito?”
- “Pensavo che non fosse la cosa giusta” oppure. “Pensavo di poterlo evitare, ma si è ripresentato ogni volta” (S. FREUD, 1895, P. 307)

    Non si poteva arrivare alla guarigione se il paziente nascondeva qualcosa: da allora Freud attribuì grande e sempre più significato alla resistenza.

    Egli aveva avuto la felice intuizione che se una forza psichica si opponeva alla rievocazione di certi ricordi e pensieri doveva trattarsi della stessa forza che aveva causato i sintomi.

    Egli attribuì, cioè, primaria importanza alla difesa psichica: per difesa una parte delle energie psichiche del soggetto veniva inconsciamente a costituire l’istituzione della rimozione, un sistema difensivo col quale venivano tenute lontane dalla mente talune esperienze vissute, sovversive per il quotidiano equilibrio psichico, tanto necessario per una sopravvivenza accettabile. Un po’ , cioè, come accade con le società che si difendono dai criminali e dagli individui sovversivi dell’ordine sociale, avendo istituito corpi di polizia e l’apparato della magistratura.

    Una volta la paziente sentì arrivare il cognato nella stanza accanto che chiedeva di lei, e, tradendo con l’espressione il comparire improvviso di violenti dolori, richiese subito di smettere l’analisi per quel giorno. Freud potè, allora, confermare alcuni suoi sospetti: insistette nel continuare la seduta, battendo il chiodo quando era ancora caldo. I pensieri e i ricordi della paziente, senza saperlo coscientemente era da tempo innamorata del cognato e con tutte le sue forze, la sua malattia ne era una prova, respingeva questo pensiero assolutamente incompatibile con le sue istanze morali.

    Era per lei impossibile, per esempio, accettare, davanti al letto dell’amata sorella morta improvvisamente, il pensiero che le era venuto: “adesso egli è nuovamente libero e io posso diventare sua moglie”.

    Erano servite delle energie per allontanare dalla coscienza rappresentazioni incompatibili e dolorose ad essere accettate. Queste energie erano continuamente attive e ostacolavano l’opera del terapeuta. Esisteva un meccanismo di difesa che impediva l’accesso alla coscienza di queste rappresentazioni rimosse. Ed esisteva quindi, una resistenza all’analisi, proprio per non avere la presa di coscienza di ricordi dolorosi e inaccettabili come propri. Le energie necessarie al processo di rimozione erano le stesse che offrivano resistenza ai tentativi terapeutici che tentavano di riportare alla coscienza tutti i ricordi per via associativa.

    I dati di fatto riassunti da Freud in poche parole ebbero per la povera ragazza un effetto accasciante: gridò forte, si lamentò dei dolori più orribili e tentò di respingere la spiegazione. Egli le dimostrò facilmente l’impossibilità di altre interpretazioni, ma faticò, e anche in seguito, nel consolarla. I dolori scomparvero definitivamente.

    La paziente aveva opposto resistenza ad associare l’idea incompatibile con le altre rappresentazioni della coscienza. Si era, cioè, risparmiato uno stato psichico insopportabile, ma in compenso, era costretta a impiegare costantemente energie per non farlo evadere dalla prigione dell’inconscio e doveva soffrire per dolori fisici, forse, non meno fastidiosi del ricordo censurato.

    La paziente soffre tanto se le viene in mente il tal ricordo che deve scacciarlo continuamente e con tutti i mezzi.

    Questa piaga dolorosa tenuta nascosta a tutti, anche a se stessa viene allargata, quasi brutalmente dal dito del terapeuta.

    E’ un fatto notevole che il paziente faccia gran sacrificio di denaro e tempo per farsi curare, e contemporaneamente opponga egli stesso resistenza al trattamento del terapeuta che in realtà è pagato dal paziente stesso per guarirlo.

    Ma la cosa non deve stupire, come ho detto nell’epigrafe, che ho voluto inserire all’inizio, riportando le parole di Freud, succede la stessa cosa e più comunemente col dentista: egli di toglie un dolore, ma al momento di farlo, ci può dare un altro dolore.

    La psicoterapia in generale, la psicoanalisi ancor di più e le tecniche prepsicoanalitiche freudiane sono in realtà pregne di sofferenze quasi continue da parte del paziente. Egli è riuscito dopo numerosi tentativi quotidiani a raggiungere un equilibrio psichico alla menopeggio, magari con sofferenze fisiche o con rituali protettivi, cambiando continuamente, se necessario, il proprio modo di porsi in relazione alla realtà esterna. Nella psicoterapia, spesso sua ultima speranza dopo che, spinto dalla sofferenza e dalla infelicità continua, ha forse provato più cure farmacologiche e neurologiche egli deve ammettere a se stesso, per poter guarire veramente, proprio quelle rappresentazioni che gli hanno causato tutto il processo patologico.

    Non c’è quindi da stupirsi se egli non ne vuole sapere di prese di coscienza di pensieri tanto dolorosi da aver causato la sintomatologia e, attraverso la sofferenza, motivato a rivolgersi al professionista per il trattamento.

 

 EPILOGO
  

    Abbiamo ripercorso il cammino di Sigmund Freud impegnato nel duplice compito di guarire i suoi primi pazienti affetti da malattie non organiche, e di trovarne il modo visto che la psicoterapia, a parte l’ipnosi, non esisteva.

    Il presente lavoro si poneva in un punto di vista preciso: descrivere gli ostacoli al lavoro di analisi incontrati da Freud nei suoi primi casi clinici e i suoi sistemi trovati per superare queste resistenze.

    Abbiamo visto il metodo ipnotico catartico nel caso della Signora Emmy von N., il suo successo come metodo sintomatico, i suoi limiti, l’inferenza di Freud di preziose conclusioni metodologiche. E poi, il passaggio al metodo della “pressione” o della “concentrazione”, con l’abbandono del metodo imperfetto dell’ipnosi. Le ragioni e i vantaggi di questo sistema. La particolare resistenza a un’idea di Miss Lucy R. la vivace scena terapeutica tratta da un’analisi di Freud, la resistenza in altri casi e, infine, il grande caso clinico di Elisabeth von R:

    Si è potuto vedere come nei primi casi clinici di Freud la resistenza si a una specie di meccanismo omeostatico: l’equilibrio psichico perturbato dall’esplorazione analitica reagisce a prese di coscienza dolorose di pensieri che si sarebbe preferito dimenticare e si oppone con forza fin che può, con tutti i sistemi, al riconoscimento di realtà interiori.

    Bisogna ricordare che nel 1895 siamo nella preistoria della psicoanalisi. Dopo la morte del padre, avvenuta l’anno dopo, Freud intraprenderà l’autoanalisi, una delle imprese più coraggiose di cui sia stato capace un uomo. E’ difficilissimo “dire tutto”, ma superare le proprie personali resistenze da solo, analizzare tutti i propri sogni, scoprirne le leggi,a accettare i propri sentimenti inconsci incestuosi, aggressivi, egoistici, quando la scienza era completamente a zero in queste conoscenze è un fatto degno di nota.

    I casi clinici successivi a questi non sono più prepsicoanalitici e sono molto diversi, l’autoanalisi di Freud è un grosso spartiacque; allora si ha un altro “scatto”: l’importanza attribuita all’analisi del transfert, dei sogni, degli atti mancati modificherà ancora di molto la psicoterapia freudiana; l’abbandono della teoria del trauma psichico, di ogni forma di contatto fisico col paziente e di domande e del far chiudere gli occhi, segnerà anche la fine del metodo della pressione. Lo stesso concetto di resistenza si modificherà di molto: nel 1925, Freud arriva a descrivere cinque tipi diversi e sovrapponentisi di resistenze.

    La resistenza è un po’ come essere innamorati bisogna provarla sulla propria pelle, per conoscerla veramente; m’auguro che quest’analisi del fenomeno, partendo “dal basso”, possa aver chiarito un po’ il concetto.

 

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