Ognuno possiede un’icona propria della figura del boss. La tv, il cinema, la radio hanno contribuito nel tempo, a darci questa immagine, che noi riteniamo, di conseguenza, perfettamente coerente ad una gamma prestabilita di comportamenti. Trattasi dell’ex cattivo delle letture della nostra infanzia e cattive devono essere le sue azioni. Ma così non è. Già nei catechismi parrocchiali ci avevano avvertito che dentro di noi non c’è tutto il male, ma un miscuglio di bene e male in continua lotta, per l’affioramento comportamentale di ogni giorno. La mia vita, in un quartiere a rischio, ha fatto sì che io potessi conoscere alcuni aspetti di questa tipologia di uomini. Ne convengo che proprio su alcune sequenze, quelle che si manifestano ad un medico, ho costruito riflessioni e giudizi in antitesi con la realtà comune.

Gigino Incoronato, detto “ Minnie” era un ragazzo di ventisette anni, timido, introverso, devastato da un’ansia che somatizzava facendo esplodere il proprio cuore in turbini di aritmie. Ricordo il suo volto che stentava ad emergere tra lo stipite della porta, che apriva con una timidezza eccessiva. Aveva un volto con una mimica già volta alle scuse per il disturbo improvviso che mi dava entrando, improvvisamente, nell’ambulatorio, mentre stavo visitando. Magrissimo, pallido in volto: - “Dottore, posso?”- e si andava a sedere vicino allo sfigmanometro, attendendo che io gli misurassi la pressione e gli auscultassi il cuore. Non lo ritenevo capace, conoscendolo, di uccidere una mosca. Bastava poco per rassicurarlo, una frase, un sorriso. Usciva con un lieve inchino, sfregandosi le mani, un sorriso appena affiorante. Non sapevo chi fosse oltre alle saltuarie apparizioni. Un giorno mi colpì un particolare. Mi aveva chiamato a casa, un basso angusto, senza luce e aria, per visitare un nipotino. Al momento di pagare l’onorario, che a quei tempi era di cinquemila lire, tirò fuori dalla tasca un rotolo consistente di banconote e cominciò a cercare un biglietto da cinquemila invano, tra quelli da cinquantamila. “Dottò, prendete troppo poco”! Mi disse, ammonendomi, non vedendo una soluzione, in quanto io non avevo da cambiargli. Ricordo che uscii un po’ umiliato e senza un soldo. Giorni dopo seppi chi era: lo avevano crivellato di colpi davanti all’uscita dell’ospedale durante uno scontro a fuoco con un’altra banda. Salvatore Acampora, detto “Bomba”, lo vedo quasi ogni giorno al bar, al mio caffè mattutino, prima di iniziar l’ambulatorio. E’ padre di famiglia, una corporatura agile, un sorriso aperto. Ho difficoltà a non farmi offrire il caffè. Se è una mattina di sole, ha con se una borsa azzurra con canne da pesca che si intravvedono. Mi sorprese la prima volta, quando mi raccontò il suo strano modo di pescare. “Ho uno scoglio che mi aspetta, resto lì tutta la giornata tra sole, l’azzurro del mare e del cielo. Pesco per ore, sapeste quanto è bello, dottore! ”

-“Mangerai pesce a volontà, al ritorno?” gli chiesi.

-“ No, dottore, mi fanno pena, poveri pesci; li stacco dall’amo e li ributto in mare. Mi dispiacerebbe far loro del male”.

Vincenzino Cantalupo, detto “Selz”è un eccezione, in quanto non lo conosco, ma lo sento nominare da anni e questo accresce la mia curiosità. Ha due o tre ergastoli, ma ogni tanto dicono che deve uscire per pressione sui giudici. Sembra che lo aspettino come un padre che debba tornare da lontano. Le sue malefatte sono bonarie leggende. Non si sa neanche quante persone abbia ammazzato. Ognuno dice un numero. Ma sono numeri da giocare al lotto, non fanno paura. Deve stare al nord, in un carcere di massima sicurezza. Una volta al mese mi capita di incontrare, al bar, la moglie, Enzina, bellissima ed elegante. Di lei si dice che non faccia all’amore da anni dato che il marito gli ha affibbiato una scorta permanente di quattro ragazzi che si sorvegliano a loro volta.. L’attende un aereo privato a Capodichino che la porta dal marito, al colloquio mensile. Non pensavo, la prima volta che la vidi entrare, che mi conoscesse, ne riuscii a incrociare il suo sguardo. Sapevo che mi aveva scelto come medico, ma non si era mai fatta vedere in ambulatorio. Quel giorno mi aveva ignorato volutamente, come se non esistessi, continuando a parlare con i ragazzi di scorta.. Dopo che fu uscita, mi recai alla cassa.- “Pagato”- mi disse il padrone del bar, con un volto serio, guardandomi fisso negli occhi.

N.B.   Persone, nomi e fatti riferiti sono puramente immaginari.

L.P.Raineri