PASQUALINA E LA DEPRESSIONE

Nel fantastico mondo dei miei pazienti di Rione Sanità a Napoli, Pasqualina ha un posto di spicco.  Ha 55 anni, la conosco da trenta, ma la ricordo sempre con la stessa immagine.  Piccoletta, un volto a luna, tra l’amimico e l’ansioso, un corpo grasso, globoso, rivestito di indumenti neri per pretestuosi lutti famigliari. Il suo entrare in sala d’aspetto, mi viene sempre annunciato dal volto preoccupato della mia ragazza che sta alla porta: “ dottore, c’è Pasqualina…” Dire questo è come annunciare che può accadere l’imprevedibile. Pasqualina soffre di tutta la gamma di disturbi psichici che va dalla depressione con turbe ansiose sino a veri eclatanti episodi schizofrenici, simil epilettici. Ha provato tutte le cure, tutti gli specialisti, mettendo in crisi la povera economia di casa. Con lei è nato da anni uno strano rapporto medico-paziente, unico direi. Anni fa, al primo annuncio della sua entrata in sala era  seguito il secondo “ Dottore correte subito, Pasqualina è a terra”

Il verificarsi di questo evento in un ambulatorio della Napoli popolare precipita nello spettacolo drammatico folcloristico.   L’ammalato viene  circondato da tutti i presenti che simultaneamente iniziano un loro personale intervento di aiuto. Chi le alza i piedi, chi le butta un bicchiere d’acqua in faccia, chi la vorrebbe, invano per il peso, disporla su una sedia. I più devoti implorano santi occasionali, tra cui si riconosce la supremazia dell’adiacente S.Vincenzo detto “O Monacone”. S.Gennaro è più metropolitano. Ma all’apparire dell’immagine del medico, il Salvatore, tutto si ferma, i volti sono in silenzio su di lui. E’ un grosso peso, credetemi, anche perché l’intervento corretto oggi è più tecnologico che personale. E in un ambulatorio di medicina di base i mezzi sono scarsi.   Per cui quella mattina dopo essermi chinato su Gelsomina, averle accarezzate le paffute gote e detto frasi occasionali ma rassicuranti, ritornai in ambulatorio per cercare un qualsiasi medicamento. La bottiglia del limoncello, regalatami il giorno prima, primeggiava al mio sguardo. Presi un bicchiere, ne versai un sorso, completai il tutto con acqua. Tornando in sala con questa miscela giallo oro, fantasticamente sconosciuta ma d’impatto visivo non comune, la feci bere a sorsi a Pasqualina. Dopo poche deglutizioni, un colpo di tosse si antepose su un urlo. “S. Antonio, S.Antonio, mio bello, mi hai salvata!” Da quel giorno Pasqualina asserisce che io sia il suo S.Antonio. Quando sono presenti altri pazienti, li coinvolge con: ” Vedete come rassomiglia a S.Antonio? E’ tale e quale” Suscitando il più delle volte in me la curiosità di andarmi a vedere una raffigurazione di S.Antonio, il mio sosia. 

LUCIO PAOLO  RAINERI  6-10-07