enigma o paradigma della sofferenza


Concettina è una vecchietta di 93 anni, colpita quattro anni fa da un devastante ictus cerebrale. Da allora è costretta a letto tutto il giorno , perché non riesce a camminare né a stare in piedi da sola o con un aiuto.
Ha perso completamente l’uso del braccio e della gamba destra; non va in bagno per i suoi bisogni ed è costantemente cateterizzata. Per mangiare o bere deve essere imboccata. Siccome ha perso anche l’uso della parola , dipende dall’intuito interpretativo di chi le sta vicino per soddisfare le sue necessità più varie: come alzare un cuscino; pulirsi il naso; rimboccarsi la coperta o lenire un fastidioso prurito alla punta dell’alluce.

Concettina non è sposata , ha solo una sorella ottantenne che si prende amorevolmente cura di lei con l’aiuto di una badante ucraina.

Prima dell’ictus, Concettina, pur avanzata negli anni, conduceva una vita più che normale ed autonoma per la sua età: preparava da mangiare per lei e la sorella ; faceva piccole faccende domestiche; andava a messa la domenica mattina e dal medico per i controlli periodici.
Del resto la sua esistenza è sempre stata caratterizzata da una semplicità di vita e improntata nel servizio per gli altri. Da piccola , primogenita di una nutrita prole, ha dovuto lasciare la scuola per aiutare a crescere i fratelli più piccoli; da giovane si è accollata il peso di accudire i genitori vecchi e malati; in età matura ha seguito la sorella , impegnata nel lavoro , per aiutarla in casa e a crescere la figlia.

Si sarebbe portati a pensare che la Poverina, in questa situazione di completa dipendenza dagli altri, abbia perso la sua soggettività e la sua personalità sembrerebbe seriamente compromessa, tuttavia diversi sono gli elementi che fanno ritenere che possegga ancora un intatto potenziale di vita. Non mostra dall’aspetto e dalle espressioni del volto di stare mai arrabbiata . Il suo umore si direbbe che è rimasto quello di sempre: sereno e placido, pronto ad affrontare con la stessa rassegnazione e con la forza di sempre gli inconvenienti piccoli e grandi della vita.

Ha superato da quando è allettata una tromboflebite profonda alla gamba, una brutta broncopolmonite ed una crisi cardiaca.
Quando la saluto, mi rivolge lo sguardo e accenna con la testa ad una gioviale risposta ; quando la invito , per scherzo, a prepararmi una bella lasagna , lei divertita, disegna sul volto una compiaciuta risata; quando la sorella è colta da sconforto, lei si fa seria e ciondolando in avanti la testa, mostra sentita compassione.

E’ questo il “caso Concettina”: incomprensibile nella razionalità del modo comune di vedere le cose, ma bello nella sua irrazionalità. Di una cosa però “razionale” e pragmatica ho appreso: che l’esperienza umana di Concettina , non unica adesso che ben ricordo, è un tentativo di scommessa positiva al dolore; non importa che tipo di sofferenza esso genera: grande, piccola , del corpo o dello spirito, se dettata da una perdita o da una delusione, perché il dolore va sempre combattuto , non appartiene all’uomo. Esso è sempre alienazione , impoverimento della persona , diminuzione di vita. Quello che conta è che esiste una possibilità di uscita . Io non so e non saprò mai dalle sue parole le ragioni che la rendono ancora così viva, posso solo intuire dalle pause del suo sguardo intenso e penetrante che fissano il mio che lei è in possesso di una verità straordinaria, capace di leggere le incongruenze dell’esistenza umana. Quella stessa verità nascosta ai sapienti, ma data in dono ai piccoli.