E’ noto che la scuola italiana negli ultimi quarant’anni ha perso molti dei “punti” che un tempo vantava ed è passata, secondo le recentissime statistiche dell’O.C.S.E.,  dai uno dei primi posti dei paesi più industrializzati  del mondo per la qualità dell’istruzione ad uno degli ultimi posti, la ragione di ciò va individuata, a mio giudizio,  principalmente in due cause che se ne dividono la responsabilità a parità di demerito.
Per un cinquanta  per cento, direi che la colpa si debba sicuramente addebitare alle normative che si sono succedute in questi ultimi quarant’anni (in ultima quella di morattiana memoria) e che, in una visione pseudo-buonista dello stato e della società, all’insegna del ‘vogliamoci bene’, mattone dopo mattone, hanno demolito quasi tutto l’edificio su cui poggiava il sistema scolastico italiano.
L’altro cinquanta per cento di responsabilità  però è da addebitarsi, senza ombra di dubbio, alla classe docente che,  portatrice della cultura post sessantottina, quella per intenderci del sei politico e degli esami di gruppo all’università, quella che colorò il vocabolo “nozionismo” con la peggior infamia antiproletaria, arrivando al paradosso di pensare che si potesse essere colti anche  senza conoscere alcunché e che poi,  da docenti,  ha ritenuto spesso che non vi fosse ingiustizia sociale più grossa di quella di bocciare un alunno soltanto perché non sapeva. Il docente medio, si è sentito insomma come il proprietario di un bene (la promozione) da poter regalare a chicchessia  a suo libero arbitrio.
Ecco quindi come, in quarant’anni, si è passati da una percentuale del 50% di promossi all’esame di maturità, all’attuale percentuale del 99% di promozioni.
Questa critica, ovviamente, investe tutta la scuola ed i docenti italiani, ma ha perfettamente ragione il Ministro Gelmini quando afferma che al sud dell’Italia le cose vanno assai peggio.
In effetti al sud, accanto ai guasti che abbiamo appena accennato, si aggiunge lo scarsissimo senso dello Stato che accomuna tutti, docenti e discenti,  saldandoli in un’unica consorteria.
Il cittadino medio del sud, e quindi anche i docenti e gli alunni, possiede normalmente una spiccata propensione a tentare di raggirare lo Stato, per cui nelle scuole si assiste spesso allo spettacolo penoso di un docente che mostra ai suoi alunni quanto egli sia bravo ad aggirare le normative dello Stato pur di poterli agevolare in qualche modo o aiutare ad essere comunque promossi, anche in barba a quelle sia pur minime regole di severità che ancora sussistono nella scuola.
Non è un  caso che quei deprecabili, ma non rari,  episodi di docenti che passavano il compito ai candidati durante gli esami di maturità, si sono verificati quasi sempre nel sud dell’Italia. Quindi,  altro che scuola quale baluardo dell’educazione alla legalità, tutt’altro!
I Presidi poi dal canto loro, lungi dal voler di stroncare tale malcostume e tentare di ridare serietà alla scuola, nell’ottica distorta che una scuola è tanto migliore non già per quanto più preparati siano i suoi studenti, ma per  quanto maggiore è il numero dei suoi alunni promossi, e per cui maggiori saranno i finanziamenti che lo Stato elargirà per sviluppare i più fantasiosi progetti didattici, che quasi mai hanno a che fare con la scuola,  quali corsi di bridge, corsi di taglio e cucito, corsi di scacchi,  corsi di fotografia, etc. etc.,    favoriscono tale pratica diplomificica.
Questa a mio giudizio la diagnosi, ma in tutta onestà non saprei fornire anche una terapia. In effetti occorrerebbe un’inversione di tendenza di 180 gradi, da parte sia del potere politico e sia di tutti gli operatori della scuola, ma non credo che la cosa sia realizzabile nel corso di questa generazione; ciò che si distrugge in quarant’anni, non si ricostruisce in quattro o cinque.